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Recensione ∼ Ho lasciato entrare la tempesta (Hannah Kent)

Ben ritrovati miei cari Lettori!
Sto riflettendo molto negli ultimi giorni su quanto i miei gusti letterari siano cambiati. Sono maturata, ho imparato a leggere in maniera sempre più critica, affinando il “palato” di lettrice e cambiando (in alcuni casi drasticamente) il mio personale giudizi in fatto di romanzi.
Ho deciso quindi di portarvi alcune recensioni extra, dedicate ai miei libri preferiti. Mi piace l’idea di uno spazio mirato qui sul blog per i migliori romanzi – e non solo – che ho letto e leggerò.

Oggi voglio approfondire un titolo citato qualche giorno fa nei consigli targati Grifondoro, Ho lasciato entrare la tempesta di Hannah Kent. Buona lettura 

Ho lasciato entrare la tempesta

Strega, seduttrice, colpevole, assassina: Agnes Magnúsdóttir è accusata di molte cose. Perché nell’Islanda dell’Ottocento – immersa nella nebbia come in mille superstizioni – lei, con la sua bellezza, il suo animo ribelle, la sua intelligenza troppo vivace, è diversa da tutte. Diversa anche per l’uomo che si è scelta: Natan Ketilsson, un uomo più vicino ai diavoli dell’inferno che agli angeli del paradiso, come mormorano nel villaggio, capace di risuscitare i morti con pozioni a base di erbe conosciute solo da lui. E ora che Natan è morto, ucciso da diciotto coltellate, il villaggio decide che la colpevole dell’efferato omicidio non può che essere lei, Agnes. La donna che lo amava. E mentre, ormai condannata, attende la morte per decapitazione, Agnes racconta la sua versione della storia alle uniche persone amiche che il destino le concede nei suoi ultimi giorni: la moglie del suo carceriere e un giovane e inesperto confessore. E anche se la morte sarà la fine inevitabile, per Agnes la vita continua altrove: nei pensieri, nei sogni, nelle storie che ha letto, e nell’amore per Natan. Le cose che appartengono soltanto a lei e che nessuno potrà toglierle.

350 pagine | €17,50 copertina rigida (unico formato disponibile)

Dicono ch’io debbo morire. Dicono che ho sottratto il respiro agli uomini, e che adesso debbo subire la stessa sorte.
E allora immagino che siamo tutti come fiammelle di candele accese, scintillanti, tremule nell’oscurità, e poi immagino l’ululato del vento, e nel silenzio della stanza sento dei passi, passi che si avvicinano minacciosi, che vengono a soffiare su di me e a ridurre la mia vita a un refolo di fumo grigio.
Mi dissolverò nell’aria e nella notte. Ci spegneranno tutti, uno a uno, finché non rimarrà altro che la loro luce, e solo quella vedranno.

Quante volte siete riusciti ad apprezzare un romanzo pur conoscendone già – per vostra scelta o per colpa d’altri – il finale? Immagino la risposta sia “poche volte”.
Viviamo nell’era dello spoiler sfrenato: scappiamo da internet, maledicendo chi straparla online, finché non recuperiamo il suddetto libro (o film/episodio) salvando ogni elemento di scioccante sorpresa che ci aspetta.

E se vi dicessi che è possibile amare una storia avendo ben chiara dalla prima pagina la sua inevitabile conclusione? Vi presento Burial Rites, tradotto in italiano dalla Piemme Editore come Ho lasciato entrare la tempesta, esordio letterario dell’australiana Hannah Kent.

«Non è giusto. La gente sostiene di conoscerti per le cose che hai fatto, e non perchè si è seduta ad ascoltare la tua versione dei fatti. Per quanto tu provi a vivere una vita retta, se in questa valle compi un passo falso, non sarà mai dimenticato. Non importa se hai agito per il bene. Non importa se dentro di te una voce sussurra “Non sono come dite!”. E’ l’opinione degli altri che determina chi sei»

Durante un periodo di studi in Islanda, la allora diciassettenne Hannah Kent entra in contatto con la storia di Agnes Magnúsdóttir, ultima donna condannata pubblicamente a morte sull’isola nordica nel 1829, e ne rimane profondamente affascinata. Dopo dieci anni di ricerche, questa controversa figura diventa il cuore pulsante di un romanzo intenso, spiazzante, che porta a riflettere sulla natura della verità e su quante facce possa assumere se filtrata da occhi e bocche diverse.

Blondal sospirò. «Non troverà la prova dell’innocenza di Agnes nella storia della sua vita, reverendo. E’ una donna dissoluta nelle passioni, e nella morale. Come molte serve di esperienza è abile a mentire, e non dubito che abbia tramato la sua storia in modo da conquistarsi la sua simpatia. Io non crederei nemmeno ad una parola»

La Storia non può essere cambiata. L’esecuzione di Agnes è parte di un passato ormai scritto nella pietra e incancellabile.
Ma l’autrice ci lascia assaporare uno spaccato di vita inaspettato, raccontando gli ultimi mesi della
Magnúsdóttir costretta a trascorrere le sue giornate in casa della riluttante famiglia Johnson, con la sola e sporadica compagnia del reverendo Toti, assegnatole come confessore spirituale in vista dell’esecuzione.

La narrazione alterna la voce di Agnes, in prima persona, a quella di tutti coloro che la circondano, scritta in terza persona. Una scelta stilistica apparentemente rischiosa, ma che poi funziona molto bene nell’effettivo raccontare. Questo alternarsi ci permette di scoprire Agnes nelle sue molteplici sfaccettature: il suo passato come mendicante, la ricerca continua di lavoro da una fattoria a un’altra, la sua vita con Natan (l’uomo che poi avrebbe ucciso), i genitori mai avuti e infine l’unica famiglia che il destino, infame artefice di storie, le strapperà via.

Al suo esordio Hannah Kent intesse una storia a cavallo fra realtà e finzione, dal sapore intimo e toccante. Concede al lettore il diritto di scegliere da che parte stare, donando da un lato il silenzio dell’empatia e della comprensione e dall’altro il rumore assordante dei ricordi e del dolore.

Quale romanzo non vi stancate mai di consigliare?

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