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Recensione ∼ Nel profondo (Daisy Johnson)

Bentornati Lettori del mio cuore!
Oggi per voi la recensione di Nel Profondo di Daisy Johnson, pubblicato in Italia  lo scorso settembre da Fazi. La Johnson detiene il record come più giovane autrice mai nominata al Man Booker Prize proprio per questo titolo e vi assicuro che i motivi per una così importante candidatura ci sono tutti. 
Nonostante non sia un romanzo esente da difetti, Nel profondo rappresenza un’esperienza di lettura profonda e di grande valore. 
Vi lascio alla mia recensione 🙂

Nel profondo

#prodottofornitoda Fazi Editore

Gretel lavora come lessicografa: aggiorna le voci del dizionario, ragionando quotidianamente sul linguaggio, attività che ben si addice alla sua natura riflessiva e solitaria. Ha imparato che non sempre esistono vocaboli precisi per indicare ogni cosa, almeno non nel linguaggio di tutti; ma quando era piccola, e viveva su una chiatta lungo il fiume, lei e sua madre parlavano una lingua soltanto loro, fatta di parole ed espressioni inventate, e allora anche i concetti più astratti trovavano il proprio termine di riferimento, come il Bonak, definizione di tutto quello che più ci fa paura.
Adesso sono passati sedici anni, esattamente la metà della vita di Gretel, da quando sua madre l’ha abbandonata, e le parole di quel codice stanno lentamente scolorendo, perdendosi nei fondali della memoria. Ma una telefonata inattesa arriverà a riportarle a galla, insieme ai ricordi di quegli anni selvaggi passati sul canale, dello strano ragazzo che trascorse un mese con loro durante quel fatidico ultimo anno, di quella figura materna adorata e terribile con la quale è arrivato il momento di fare i conti.
I personaggi, i luoghi, la memoria, il linguaggio: ogni cosa è fluida e mutevole, come le acque torbide del canale che fanno da ambientazione a questa storia magnetica. Attraverso una scrittura dalla precisione quasi inquietante, che le è valsa una candidatura al Man Booker Prize a soli ventisette anni, Daisy Johnson si serve di riferimenti culturali che vanno dal mito classico al folklore nord-europeo e costruisce un racconto di rara suggestione, in cui risalire le correnti del passato è l’unico modo per costruire la geografia del presente.
Nel profondo è un romanzo già in grado di emanare la propria mitologia.

I luoghi dove siamo nati tornano a noi. Si travestono da parole, vuoti di memoria, incubi. Sono il senso di oppressione quasi animalesco che sentiamo certe volte in petto, quando ci svegliamo.

Parlarvi di Nel Profondo è cosa tutt’altro che facile.
È un romanzo breve, ma molto intenso che richiede, anzi no… pretende attenzione e tempo! Racconta di intimi cambiamenti, di scoperta – e riscoperta – di se stessi, di silenzi e segreti impronunciabili, di errori del passato che come spade affilate trafiggono il futuro e lo fanno sanguinare.

Gretel non vede sua madre Sarah da quando quest’ultima l’ha abbandonata, sedici anni prima. La cerca in qualche ospedale o obitorio di tanto in tanto, più per abitudine che per reale affetto. O magari per mettere finalmente un punto a quei vaghi ricordi, sfumati e annebbiati dal tempo, che ancora le pesano addosso.
È una telefonata a cambiare tutto, a scaraventare nuovamente Sarah nella sua vita, facendo così riemergere ricordi, linguaggi dimenticati e quel mostro fatto di paura e terrore, il Bonak, che è forse molto più reale di quanto si possa immaginare.

Intrecciando presente e passato in una danza inquieta e sofferta, la Johnson racconta il mito di Edipo e il suo tragico destino in chiave moderna, toccando così tematiche care al nostro tempo come la maternità, la ricerca smaniosa di indipendenza e la sessualità in ogni sua forma.

La vita è così. A volte va in una direzione ma solo per un secondo e poi ricomincia a girare, ruotando su se stessa così in fretta che non puoi capire quello che succede.

Nel profondo non è un romanzo perfetto.
Nel suo potpourri di emozioni ben orchestrate e di preziosa ricercatezza stilistica, la Johnson lascia ahimè indietro quel’approfondimento in più sulla tematica LGBT+, così presente e importante nell’evoluzione narrativa del libro, ma che rimane solo vagamente accennata nell’analisi psicologica dei personaggi.

Realistica e di forte impatto empatico ho invece trovato la voce di Gretel, distaccata e quasi gelida, filtrata da un velo palpabile e quasi fastidioso che separa la narratrice dal suo stesso racconto. Chi ha vissuto esperienze traumatiche nella vita sa quanto fare un passo indietro dalla propria storia sia l’unico modo per riuscire a guardarla davvero.
In quel narrato schivo, a tratti crudele, quasi inumano, ho visto una ragazza che va avanti per inerzia, intrappolata in una bolla di sopravvivenza dal dolore che non ha ancora avuto il coraggio di scoppiare.

Consiglio questo libro a chi non ha paura di scoprire quali e quante forme possa assumere il dolore nelle mani di un infame destino

4 commenti

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